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La salama da sugo ferrarese

Nei secoli tanto si è scritto sulla salama.

Correva l’anno 1956: ricercando nella valle del Po cibi genuini tradizionali il celebre insaccato venne esaltato e ripreso da un personaggio d’eccezione come Mario Soldati.

Ma ben merita un passo indietro.

Era il quindicesimo secolo quando fu accusato di aver fatto uso di sale di contrabbando “per far salami alla ferrarese” un tale Domenico, speriamo graziato quanto meno per aver contribuito alla buona riuscita dell’insaccato.

Nelle famose macellerie artigiane, che ancora oggi si possono trovare e dove la tradizione contadina vanta buona cultura gastronomica, si racconta d’aver ricavato il nome da uno statuto del 1383, che riferisce di Lorenzo De’ Medici, il Magnifico, che con lettera conservata nella biblioteca di Modena, scrive al Duca Ercole I d’Este queste parole:

Io ringrazio la Eccellenza Vostra dei salami, , che si è degnata di mandarmi, che mi sono graditissimi.

Altro personaggio da non tralasciare è Cristoforo di Messisbugo, cuoco, gastronomo, registro di banchetto, cultore e codificatore della cucina ferrarese, che alla corte di Ercole II d’Este scrisse “Banchetti, composizione di vivande ed apparecchio generale” ed altre opere altrettanto importanti in campo storico e gastronomico. Soprannominato Conte Palatino, resta nel ricordo e nella storia come brillante esempio di scienza e buon gusto.

La salama nel 1600 venne definita un carnoso mappamondo.

Nel 1700 Domenico Vincenzo Chendi, parroco, autore di due importanti pubblicazioni codificò l’insaccato e nel capitolo ad essa riservato parlò di “in ogni peso di carne pesta, si mettano dieci nuzie di sale secco……”.

Immerse nelle nebbie invernali tipiche, in vecchi casali ben areati, stagionano e attendono il periodo migliore “settembre-dicembre” per essere gustate ed emanare nelle cucine profumi e ricordi antichi.